Il marchio Francesca dell’Oro nasce nel 2011 e Francesca ne è l’anima e il direttore creativo. La sua esperienza nei campi della comunicazione e dell’alta moda la portano a prestare la massima attenzione a ogni dettaglio, sia per quanto riguarda la qualità delle materie prime che nella presentazione del profumo; nascono così i suoi iconici flaconi scolpiti nel cristallo, ispirati alla figura e all’arte di Tamara de Lempicka, donna emancipata e anticonformista, ma anche inconfondibile sinonimo di eleganza. Così sono le sue fragranze: raffinate, moderne, ricercate e Francesca non ne è la semplice ideatrice, ma prende parte in prima persona al processo di selezione delle materie prime, creazione e produzione grazie a una formazione specializzata e a un continuo aggiornamento. A Smell Festival il pubblico potrà incontrare personalmente Francesca Dell’Oro venerdì 26 maggio durante il Perfume Showcase, l’evento espositivo dedicato alla profumeria artistica presso il Grand Hotel Majestic “già Baglioni” di Bologna.
Abbiamo chiacchierato un po’ con lei e ci siamo fatti raccontare la sua visione della profumeria abbinata alla sua esperienza nel campo della moda.
Il tema di Smell Festival 2017 è “radici”. Pensa che il suo passato, i suoi ricordi, le sue origini influiscano in qualche modo nella creazione di profumi?
Sono convinta che ricordi e origini segnino sicuramente una firma autobiografica nella creazione di un profumo. È fatto notorio che i principi ispirazionali e creativi siano guidati da ciò che si è respirato nel passato e da ciò che si scoprirà nel futuro. Sicuramente i miei profumi sono legati ad evocazioni e memorie e non stupisce perché l’intento di ogni creatore è di filtrare le proprie emozioni, il proprio vissuto o determinati fatti che in qualche modo lo hanno ispirato per poterli tradurre in composizioni olfattive. Mi viene in mente che uno dei profumi più emblematici è Page 29, perché forse più di altri rappresenta un momento particolare, un vissuto forte, infatti anche la scelta della materie prime che compongono questa fragranza è sicuramente stata influenzata dalla voglia di comunicare questo tessuto cicatriziale, questo elemento quasi vivo, molto forte e intenso all’interno della composizione.
Sicuramente è una domanda ricorrente, ma lo racconti anche a noi: perché come sigillo della sua casa di fragranze ha scelto proprio un serpente uroboro, simbolo dell’infinito e dell’eterno ritorno?
In realtà il simbolo del mio brand ha un duplice significato. Senza dubbio l’uroboro ha un richiamo simbolico collegato all’infinito e all’eterno ritorno, infatti è il leitmotiv di quello che sono i miei elementi vitali: nulla si crea e nulla si distrugge, esiste un circolo infinito che racchiude tutti gli elementi all’interno dei quali tutto aderisce come resine che sono legate, in base alla mia esperienza, sia al caso che al senso. L’altro significato è più intimo e nascosto, non a caso provengo da una famiglia di gioiellieri, La «O» è anche il simbolo aureo e uno dei primi anelli che mi è stato regalato da mio padre quando ero piccola, credo intorno ai 6-7 anni, era proprio un piccolo serpente con un rubino nell’occhio e che ha sempre rappresentato in qualche modo il forte legame con i gioielli e la mia famiglia. Per questo all’interno del mio brand ho voluto celebrare le mie origini, il mio pensiero portante e anche questo simbolo molto forte che rappresenta il legame con il mio cognome e ciò che rappresenta.
Il flacone della collezione Francesca Dell’Oro richiama linee moderniste, la scomposizione cubista, l’opera di Tamara de Lempicka. Una bellezza quasi adamantina al cui interno si trovano composizioni che colpiscono per la loro sensualità, per l’uso di note gourmand, per un’attenzione alla scelta delle ‘belle materie’ che subito coinvolgono sul piano fisico e vitale. Quanto le appartiene questa fusione di elementi contraddittori, questo amore per le sfaccettature e per la diversità?
Questa è una domanda a cui amo rispondere: quanto c’è di elemento contradditorio in Francesca. Innanzitutto il progetto legato al flacone è stato realizzato in collaborazione con una designer molto attenta e soprattutto sensibile nel cogliere ciò che volevo comunicare con questo progetto: l’idea è stata proprio quella di lavorare su spigoli e rotondità. Le rotondità sono legate alla parte in cui il flacone si impugna e questo dà un aspetto ergonomico, un comfort dinamico che si prova quando il profumo viene tenuto in mano. Mentre la parte sfaccettata rappresenta le sfumature sensibili che esistono all’interno di una composizione; ricordiamo che il profumo è famiglia e poi sfaccettature e che in qualche modo questi aspetti sono anche dell’essere umano. Tutti noi abbiamo una sorta di imprinting che rappresenta la nostra famiglia ed è il richiamo immediato che diamo agli altri, ma le sfaccettature sono i dettagli, elementi che ci definiscono e ci differenziano. Quindi volevo che il flacone racchiudesse questi due aspetti per dar modo di giocarci e di viverlo attraverso varie prospettive. Molto particolare è il fatto che il progetto abbia dato vita ad un flacone che veramente sta diventando abbastanza iconico nel suo genere proprio perché ha questo gioco di spigoli e riflessi portato dalle rotondità nella parte retrostante; ciò permette di catturare tantissime rifrazioni della luce e di dar vita ad un oggetto bello e strutturato che può vivere anche su diversi piani focali; può infatti essere visto inclinato o su piano frontale e posto anche in retrospettiva. Si tratta quindi di un lavoro importante, che doveva rappresentare la struttura e la bellezza, la grande ricerca e sofisticazione che si ritrovano anche all’interno dei jus.
Quali sono le fragranze della sua collezione in cui crede maggiormente, quelle che le hanno dato le maggiori soddisfazioni?
Diciamo che non ho mai creduto maggiormente in una fragranza rispetto alle altre. Forse in alcune ho azzardato maggiormente su note olfattive che magari potevano risultare più dure e particolari da metabolizzare. È il caso per esempio di Francine, che in realtà si è rivelato un profumo che piace moltissimo proprio perché nasconde un dualismo molto forte tra la secchezza austera e un pochino dura del Galbano che però viene ammorbidita da ambre e infusi di assolute di fiori, donando una ariosità in qualche modo molto pura e verde a tutta la fragranza. Le maggiori soddisfazioni forse sono arrivate da Ambrosine, il capostipite, e questa davvero è una soddisfazione personale perché è il primo profumo che ho creato e che ha dato voce a questo bellissimo progetto. Sicuramente è stato riconosciuto come un profumo speciale e particolare con del grande potenziale. Lullaby è un altro profumo che piace moltissimo per il suo essere così Lolita, fruttato, irriverente, malizioso ma allo stesso tempo molto ben strutturato: ha un’armonia legata alla materie prime che lo rendono godibile da un pubblico molto ampio ed è sicuramente uno dei best seller della collezione. Ultimamente il lancio delle due nuove fragranze, Voile Confit e Rubia Sucrée, ha dato ulteriori conferme a quelle che sono state le mie scelte olfattive perché per la prima volta ho presentato un’antitesi, quindi un gioco di fragranze esperidate che però flirtassero a loro volta con note gourmand di grandissimo impatto. Nulla di stucchevole, nulla che richiami al mondo gourmand edulcorato ed eccessivamente zuccherato ma un progetto molto ricercato che desse vita a qualcosa di candito, a qualcosa di più morbido, estremante evocativo ma anche sensuale ed avvolgente.
Come un abito, un profumo contribuisce a creare un’immagine di sé che cambia a seconda delle occasioni, degli stati d’animo, delle stagioni. Ma se le mode passano, certe fragranze permangono come classici indelebili nella nostra memoria. Qual è il profumo che non smetterebbe mai di indossare?
È vero, le mode cambiano. Per questo motivo mi sento una battitrice libera, sia nella moda sia nella creazione olfattiva. Mi piace seguire il corso delle tendenze e sono sicuramente legata ad un mondo che ho respirato e da cui provengo. Però ho sempre cercato di costruirmi uno stile che fosse il più possibile sartoriale e tagliato su di me: questo è quello che ho fatto anche nella scelta delle mie composizioni olfattive. Miro a qualcosa in cui sentirsi bene sempre, qualcosa che diventi un classico per sé stessi, qualcosa magari da abbandonare e a cui poi tornare o che rappresenti un fedele compagno di vita all’interno del proprio cerimoniale di bellezza. Il profumo che non smetterei mai di indossare penso sia sicuramente Fleurdenya perché con la sua pulizia e sensualità così neoromantica, a tratti un po’ vintage ma allo stesso tempo molto moderna, rappresenta uno degli accessori base che va bene per tutte le stagioni, intese anche come stagioni della vita.